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Manifesto delle lesbiche contro natura
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Le lesbiche si vestono di colori cupi o acidi
le lesbiche idolatrano la propria automobile, anche la moto,
nei casi peggiori il camion
le lesbiche fumano
le lesbiche bevono
le lesbiche non fanno una vita sana
le lesbiche vivono di notte
le lesbiche vivono al chiuso di discoteche, di circoli politici,
nei casi peggiori delle loro case
le lesbiche vivono di parole spesso elettroniche
le lesbiche utilizzano giocattoli sessuali
le lesbiche si ornano con piercings e tatuaggi
le lesbiche si tagliano i capelli
le lesbiche si vestono
le lesbiche utilizzano freneticamente telefonini, fax, computer
le lesbiche praticano il sesso sicuro (o è quanto sperano le linee lesbiche)
le lesbiche amano intervenire sull’ambiente (dal bricolage alla politica)
le lesbiche abitano le città del loro tempo
le lesbiche sovvertono le leggi di natura
non dimostrano la loro età
si vestono da ragazzine
raramente si riproducono e quando lo fanno è spesso con mezzi non ortodossi
vivono in formazioni affettive e sociali irregolari


LE LESBICHE, SEMPLICEMENTE CON LA LORO PRESENZA, CHE LO VOGLIANO O MENO,
MODIFICANO LA REALTÀ.
LE LESBICHE SONO CREATURE ARTIFICIALI, NON PREVISTE DAI PIANI,
LE LESBICHE NASCONO, FIGLIE DI LORO STESSE, NELLE METROPOLI DELLA MODERNITÀ.
LA NATURA NON È LA LORO MADRE

La natura è maligna. Per lei vince il più forte, gli altri soccombano pure. Se ci collochiamo  entro il genere femminile ci richiede di riprodurci, e basta. Ogni concezione politica e culturale totalitaria esalta la natura, la vita semplice, i mulini bianchi: non le sfugge il suo carattere  essenzialmente reazionario. La natura è immobile, indifferente. Se una cosa si dice naturale, si intende che non può più cambiare, che deve essere eternamente  uguale a se stessa. Ci dovrebbe attrarre perché è femmina, per via della madre terra, contro la cultura come costruzione maschile, contro  la legge del padre? Non vorremmo ancora, come in un certo femminismo, veder schierati da una parte i fiori, le farfalle, gli alberi, i cereali, i micini e i cagnolini, la foca e il panda, le donne, i bambini e tutte le cose buone e belle e dall’altra la città, le fabbriche, le macchine,le guerre, lo stress della vita moderna, i libri, i computer, i maschi fallocratici e tutte le cose brutte e cattive. Ma avvertiamo ancora in giro queste semplificazioni, e ci chiediamo: cosa crede di guadagnare la lesbica quando si richiama alla natura, che sia per giustificare la sua stessa esistenza, il suo comportamento sessuale e le sue scelte di vita? Certo, l’uomo della strada si rassicura se ci pensa previste da un piano divino,o naturale, o entrambi. Ma noi vogliamo  tranquillizzarlo o far sì che ci pensi come agenti di rottura e di mutamento dell’ordine? Lotta dura contronatura, diceva un vecchio slogan.

Il luogo del passato, dei resti, dei detriti stratificati, dei ricordi, della memoria.  E va bene. Ma una memoria pesante, che confina con la nostalgia, emozione abbastanza reazionaria di per sé, che ostacola i processi dinamici, una folla di fantasmi che ti riportano indietro, un essere che non si accorge di non  essere più e ingabbia il divenire. Ecco cosa ereditiamo, nel caso peggiore, ma frequente, dal passato femminista: una mitologia immiserita fatta di figure svuotate dalla carica simbolica che ebbero quando si traducevano in politica, quindi in storia. Una processione infinita di suore beghine, mistiche, sante, su su nella gerarchia (che rimane) fino alla Madonna e alla Dea, con la variante apparentemente più eversiva delle amazzoni, le streghe,le passing women, le bostoniane. E a vegliare/vigilare sul Tutto, l’Ordine Simbolico della Madre, concetto bifronte che col "simbolico" apparterrà anche alla cultura, ma con la "madre" ci riconsegna incatenate in file, appunto ordinate, fra le braccia della nostra… Una serie di scorie amorevolmente conservate proprio da chi avrebbe più interesse a liberarsene: le lesbiche, ovviamente. Al di là delle valutazioni estetiche e degli affetti personali (de gustibus), crediamo importante se proprio bisogna avere dei miti che siano progressivi e non rivolti verso il passato, che siano dotati di una spinta propulsiva ad incidere sulla storia, che non ci tengano impastoiate mani e piedi, appunto, nella natura.

 La lesbica come noi la intendiamo è un prodotto storico ben definito e ben collocabile: fa la sua comparsa nel mondo, e lì vive ed agisce, non sulle spiagge di Lesbo inondate dalla luna, fra il seguito delle ninfe di Artemide o fra le fanciulle in fiore alla Hamilton. Nasce nelle città del XX secolo, fra le donne che si mantengono da sole lavorando, fattori della trasformazione economica e culturale,   crea la modernità ed è creata da essa. È una figura che perturba l’ordine naturale e cambia le leggi della storia. Dalla letteratura decadente è estetizzata nelle forme artificiali della femme damnée, che si sottrae al destino biologico del proprio genere mettendo la voluttà al posto della riproduzione. Dai conservatori della morale e della politica è attaccata in quanto costituisce, come e più dell’emergente movimento suffragista e femminista, un pericolo. Da sé, le lesbiche di allora cominciano a costruire  a Berlino, a Parigi, a Londra, quella che noi chiameremo la comunità lesbica: noi che partiamo dalla città e dalla storia non dobbiamo fuggire da esse, in  nome di consolatori e fasulli ritorni all’origine. La nostra città non è naturale. Niente è più naturale, fin dal momento in cui scheggiavamo le pietre nelle caverne. Siamo soggetti artificiali, costruiti culturalmente, tutti e tutte. Una costruzione, nel nostro caso di lesbiche,  (ovviamente anche per le donne, i gay…) spesso opera di altri soggetti, si spera  sempre più autonoma. Perché sia così il nostro compito consiste nell’accettare il più possibile le sfide della post-modernità, nell’essere agenti della trasformazione dell’esistente, nell’impadronirci del divenire. Nel rileggere la storia con uno sguardo voltato in avanti, invece che con l’intento di recuperare pezzi di mito belli e muti come le statue greche. Nel non concepire astoricamente la natura, il corpo, l’istinto come gli ultimi baluardi rimasti di una purezza originaria mai esistita, giardini dell’Eden protetti dall’invasione nemica. Nell’attivare costantemente la volontà di capirli come costruzioni culturali. Natura non facit saltus, le lesbiche sì.

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